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San Benigno

  • Immagine del redattore: voci coro
    voci coro
  • 4 mar
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 1 apr

Il Festival della canzone italiana



Da quando conosco Gabriella tutto ha un gusto diverso, anche il Festival di Sanremo.


Nella settimana della kermesse canora più importante d’Italia sento tanti dire:


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“No, io non lo guardo!”

“Sanremo? giammai”

“Io sono un’anticonformista, non ho la televisione”



Eppure ogni serata i dati dell’ascolto sono elevatissimi e sembrano smentire le affermazioni di quei tanti, chissà finti, disinteressati.

Io invece non mi vergogno nel dire che mi piace, l’ho sempre guardato. 


Da piccolo non riuscivo mai a vederne la premiazione: 


“È tardi, bisogna andare a letto!” diceva mamma


E così spesso mi sono ritrovato a scoprirne il vincitore la domenica mattina, a volte addirittura sulle piste da sci dopo un viaggio con i miei genitori per raggiungere le vicine Alpi.


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Crescendo l’ho visto in modo disattendo, rapito dalle tante distrazioni della vita, annoiato da

conduzioni lente e da una televisione che non riusciva a emozionarmi.

Eppure ricordo le innumerevoli edizioni condotte da Pippo Baudo o la vittoria inaspettata di un gruppo che per tanti anni ha fatto dire a milioni di italiani :


“Ma i Jalisse che fine hanno fatto?”


Ora invece non solo non mi perdo una puntata, ma mi ritrovo a commentare con mia moglie gli abiti delle cantanti, lo stile della presentazione, i tatuaggi , i monologhi degli ospiti finanche l’aplomb dei direttori d’orchestra.

Anche i giorni antecedenti l’evento sono momenti di condivisione :


“Amore, Brunori vincerà sicuramente il premio per il miglior testo” le ho detto a colazione qualche settimana fa, leggendo sul quotidiano il brano.


“Che meraviglia. Paternità e tradizioni. Scirubetta e amore” ha commentato Gabriella emozionata, come sempre, dalle raffinate parole del cantautore.


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Quest’anno non abbiamo avuto dubbi, abbiamo tifato per lui stringendoci in quel poderoso abbraccio che l’intera regione ha inviato al suo figlio, sostenendolo con l’entusiasmo genuino di coloro che hanno visto in lui una luce capace di illuminare il buio di una terra abbandonata e maltrattata.


Sono tanti quelli, come noi, affezionati a questo grande evento nazional-popolare.

Non si trovano soltanto nelle famose emittenti radiofoniche, in televisione o nelle interviste sui quotidiani. Li trovi nei bar davanti al tradizionale cornetto a commentare le performance da veri intenditori o tra le mamme all’uscita di scuola, ponendosi tra loro la più classica delle domande :


“Secondo te chi vincerà?”


Gli amanti di Sanremo sono anche anziane signore e signori ospitati nelle tante casa di cura, come la San Benigno nel cuore del rione Traforo a Rossano.

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Qui, per il secondo anno consecutivo, si è tenuto un tardo pomeriggio all’insegna del festival dove a sfidarsi, in una combattutissima gara di acuti e assoli, sono stati proprio gli ospiti del centro.

Ho accettato con gioia l’invito di Arturo, fondatore della struttura, di partecipare all’evento.


Sono le 17.30  quando arrivo e le luci sono completamente spente. Considerando quanto sia sbadato, penso tra me  “avrò sicuramente sbagliato giorno”, ma nell’avvicinarmi all’ingresso capisco che tutti si trovano nell’ampio salone delle feste dove ogni cosa è stata accuratamente preparata per rendere il momento indimenticabile.


Non appena entro nella sala vengo pervaso da un’energia positiva, contagiosa, la gioia è vibrante, la musica si diffonde nell’aria regalando ai presenti sorrisi pieni di vitalità.

Non ci sono i settanta batteristi che hanno accompagnato l’entrata di Jovanotti all’Ariston eppure questo è davvero l’ombelico del mondo, è qui che s’incontrano facce strane di una bellezza un po’ disarmante, pelle di ebano di un padre indigeno e occhi smeraldo come il diamante.


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Mi metto a sedere e l’iniziale imbarazzo lascia immediatamente il posto alla felicità, la medesima provata la prima volta che ho visto con Gabriella il festival nella nostra, tanto amata, casa milanese.


Rimango esterrefatto da quello che vedo: c’è una piccola scalinata all’ingresso che mi ricorda la ben più famosa da cui centinaia di persone sono scese ripetendo sicuramente tra sé “non devi cadere, non puoi cadere, un piede alla volta, lentamente”, c’è il pubblico delle grandi occasioni accorso numeroso per godersi lo spettacolo, ci sono i fiori ad impreziosire la scenografia, c’è Filomena, la psicologa del centro, che con la sua raggiante bellezza ricorda una delle tante super modelle che negli anni si sono susseguite sul palco del teatro sanremese. 


Svestiti i panni della dottoressa, Filomena ricopre con istrionica maestria quelli della conduttrice della serata e la sua vitalità fa da volano per la grandiosa riuscita dell’iniziativa.

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Ad aiutarla nella conduzione Arturo, un prezioso valletto che non sbaglia mai i tempi degli interventi e delle battute, sorretto da Antonietta e Arianna, le figlie, che controllano il fluire dello show con l’attenta supervisione della madre Maria Paola.


Lasciata la reception, Gina si occupa dell’audio e appare come una esperta tecnica del suono; Pasqualino è il fotografo ufficiale ed immortala ogni attimo con attento spirito d’osservazione.

Gli operatori del centro, nel mentre, controllano con scrupolosità e solerzia che tutti e tutte si sentano a proprio agio e possano godere del clima festoso.


Sfortunatamente sono giunto a esibizioni concluse e non ho potuto ascoltare gli artisti in gara, ma ho il piacere di assistere all’emozionante proclamazione della vincitrice che con la sua “Tu vuò fà l’americano” ha convinto i due esperti giudici che con imparzialità hanno esaminato i diversi concorrenti.

Tutti i presenti si lasciano andare in uno scrosciante applauso e insieme a Rosalba intonano il brano di Renato Carosone per il consueto bis di rito.


Lo spettacolo sembra ormai terminato quand’ecco che il pubblico a gran voce chiede a Tonino di intonare il suo cavallo di battaglia. 

Lui non si fa pregare.

Si alza, si dirige verso il palco e a cappella canta una vibrante versione di “ ’O sole mio”.


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La platea è nuovamente in fermento e le mani si giungono con trasporto.

“bravo!“ esclama qualcuno dal fondo della sala


La serata è giunta definitivamente alla sua chiusura e il teatro gradualmente si svuota.

Io raccolgo le mie cose, ringrazio per l’ospitalità, saluto e prendo la via di casa.


Cammino e sorrido, ringrazio Dio per avermi regalato questo momento e cammino, accendo le cuffie e avvio la playlist di Sanremo.

Simone Cristicchi inizia a cantare la sua “quando sarai piccola” e continuo a camminare.

Cammino e lui canta, più canta e più rallento, continua a cantare e io mi fermo.


Le parole del brano mi trafiggono con la delicatezza della sua voce e ogni verso mi parla di ciò che ho appena vissuto nella comunità per anziani San Benigno.


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Ogni giorno qualcuno si prende cura di corpi fragili, sostiene l’incedere stanco, accarezza il viso con l’amore di un figlio, ascolta i ricordi annebbiati del recente passato della città, quella stessa città che oggi, bramosa di operatività, si dimentica di loro.

In questo luogo c’è sempre qualcuno pronto a reggere un mento, porgere un cucchiaino, bagnare le labbra o cospargere di crema la pelle consumata dal tempo, proprio come hanno fatto con mia nonna Annina o come mamma e le sue sorella hanno fatto con Carmela.


E così, mentre Cristicchi continua a cantare, capisco che queste persone fanno ogni giorno quello che lui sussurra alla madre nella sua canzone:


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Quando sarai piccola ti stringerò talmente forte che non avrai paura nemmeno della morte. Tu mi darai la tua mano, io un bacio sulla fronte. Adesso è tardi, fai la brava. Buonanotte.

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