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Cooperativa "L'Aquilone"

  • Immagine del redattore: voci coro
    voci coro
  • 21 gen
  • Tempo di lettura: 7 min

Intervista con Riccardo e Nuccia



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Nel cuore del centro storico di Rossano, a pochi passai dal vecchio ospedale, si trova la cooperativa l'Aquilone, centro diurno per minori e casa famiglia per donne in difficoltà. Una realtà che fa dell'accoglienza, della cura, del rispetto, del sostegno e della riabilitazione il fondamento di un lavoro incessante da oltre 20 anni.

Qualche settimana fa, seduti nella cucina della casa famiglia, abbiamo chiacchierato con Riccardo e Nuccia, presidente e vice-presidentessa della cooperativa Aquilone.

Ciao Riccardo, ci puoi raccontare dove ci troviamo e da dove siete partiti?

Ci troviamo nella sede della cooperativa L'Aquilone, nata nel 2001 dopo un percorso fatto con amici e un sacerdote, un percorso di fede insomma. Facevamo animazione negli oratori, ma sentivamo il desiderio di passare più tempo con i ragazzi in un centro diurno dove potessero studiare, giocare, stare insieme, guardare le partite.

E a quel tempo dove vi incontravate?

Ci incontravamo nella parrocchia di San Domenico. Infatti la prima sede della cooperativa si trovava in via Prigioni, a due passi dalla chiesa dove c'era il vecchio carcere.Da lì abbiamo iniziato a partecipare a progetti con altre associazioni, tutti  progetti che comunque si occupavano di minori disagiati. Il problema è che il disagio aumentava negli anni e i progetti diminuivano.


In quanti eravate nell'organizzazione della cooperativa?

Eravamo un gruppo di 7-8 amici. All'inizio era un modo per passare un po' il tempo, ma strada facendo ci siamo resi conto che questi ragazzi avevano veramente bisogno di essere seguiti. Però solo con le nostre forze non riuscivamo e abbiamo deciso di creare una rete insieme ad altre cooperative e associazioni, ognuno si occupava del suo ramo specifico. A noi spettava sempre l'animazione: feste, eventi, estate al mare.

Le iniziative erano aperte solo ai minori disagiati?

No erano aperte a tutti. Nel momento in cui un minore entrava, il disagio finiva. Per noi i ragazzi sono sempre stati tutti uguali.

La partecipazione era elevata?

Si molto e le nostre forze non bastavano. La legge 285 sull'imprenditorialità, che tanto ci aveva aiutato, non esisteva più e le difficoltà erano aumentate.

Chi vi supportava?

Ci ha sempre supportato la diocesi, i vescovi che si sono susseguiti ci sono sempre stati vicini: da Cassone a Marciano, Satriano, fino all'attuale vescovo Aloise. Ma il nostro obiettivo era quello di creare un centro diurno vero e proprio, accreditato dalla regione. Ci mancava però qualche requisito, come avere una nostra sede.

Il comune vi aiutava?

Finanziava qualche progetto, per esempio l'estate al mare. E garantiva il trasporto gratuito dello scuolabus per le nostre uscite.

E cosa avete fatto a quel punto?

Abbiamo continuato, siamo andati avanti con le nostre forze. Da otto siamo rimasti prima in quattro, poi in tre, abbiamo cercato altri volontari.

Questi amici sono ancora presenti?

Non sono presenti nell'assetto societario attuale della cooperativa perché vivono fuori, ma ci sostengono sempre.

Ma torniamo alla storia, come siete arrivati a questi locali?

Il vescovo Satriano, circa 7 anni fa, ci propose di gestire i locali del vecchio ospedale, pensando di far gestire a noi la parte del centro diurno che si trova al piano superiore. Potevamo finalmente realizzare il nostro sogno! Al piano inferiore c'era la casa famiglia per ragazze madri che esisteva da tempo ed era gestito dalle suore. Purtroppo sono dovute andar via e a quel punto a Monsignor Satriano, per non chiudere la casa, è venuto facile chiedere  a noi di occuparci anche della casa famiglia. All'inizio eravamo un po' titubanti, perché comunque per noi era un'esperienza completamente diversa rispetto a quello di cui ci occupavamo all'epoca. Ci siamo riuniti, ci siamo confrontati e abbiamo deciso di accettare.

E tu Nuccia in che momento sei salita a bordo di questa avventura della casa famiglia?

All'inizio ho collaborato come volontaria per aiutare l'interazione con le bambine visto che inizialmente erano tutti uomini. Ho cominciato circa 7 anni dopo Riccardo per poi diventare socia della cooperativa e oggi vice-presidentessa.

In quanti siete attualmente? 


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Attualmente siamo quattro soci da statuto. Poi abbiamo una educatrice per la casa famiglia, una psicologa, un OSS, una assistente sociale e tre operatrici che girano facendo i turni, mattina, pomeriggio e notte. Un'operatrice è sempre presente nella casa famiglia, mentre le altre figure sono a supporto per confronti puntali nel caso del bisogno. Nel centro diurno per minori invece abbiamo un'educatrice, un'assistente sociale e due operatrici.

Da dove arrivano le donne della casa famiglia?

Sono i servizi sociali dell'intera Calabria che ci segnalano le situazioni di difficoltà e l'inserimento avviene sempre attraverso loro. Bisogna tener presente che, nell’intera regione, di case come la nostra ne esistono solo 2, anzi 3 considerando la recente apertura a Mirto.

Quante persone potete ospitare?

Abbiamo otto posti letto per donne più otto per minori, quindi le madri con i relativi bambini. Se hanno figli ovviamente vengono messi nella stessa zona.

Eppure la casa è molto grande e potrebbe ospitare più donne, cosa ve lo impedisce?

Le regole prevedono che ad ogni utente venga dedicato un certo numero di metri quadrati e nel loro pieno rispetto dobbiamo “sacrificare” l'accesso di altre, potenziali, donne.

Chi sono le donne che ospitate?

Sono donne in difficoltà, le casistiche sono le più disparate: ci sono donne vittime di violenza, giovani madre senza il compagno, donne con dipendenze da droghe o alcool, donne vittime di tratta. Come si svolge una giornata tipo?

Per quanto riguarda il centro diurno con i minori la giornata inizia alle15. Si fanno i compiti fino alle 17 circa, una pausa, la merenda e poi si gioca fino a cena. Tornano a casa per le 20.30/21.00. E questo si ripete ogni giorno della settimana, dal lunedì al venerdì. La casa famiglia, invece, è sempre funzionante, ogni giorno della settimana. La loro giornata è ovviamente meno ripetitiva rispetto ai minori perché dipende dalle esigenza delle singole donne e dai loro obiettivi. C'è chi va a lavoro, chi deve andare dal medico, chi accompagna i figli a scuola, chi si occupa della pulizia della casa, chi cucina. Poi ci sono gli incontri con lo psicologo, con l'educatrice, con le istituzioni e in generale con l'equipe di riferimento che le segue.

In che modo le donne che ospitate vengono supportate nel loro reinserimento nella società?

Ogni donna ha un progetto individuale identificato dai servizi sociali e condiviso con il nostro team interno che si occupa dell'accompagnamento. C'è chi ha iniziato a lavorare come lavapiatti in un ristorante, chi stiamo supportando nel conseguire la licenza media o chi aiutiamo nell’ottenimento dei documenti.

Quali sono le difficoltà più grandi che vivete?

Sono tante, relazionarsi con situazioni a volte drammatiche non è per niente facile. Anche sfidare il pregiudizio di chi entra nella struttura non è cosa da poco così come la gestione dei rapporti con le istituzioni. A volte il ritardo nel ricevere i sussidi diventa un grosso problema da gestire per una famiglia con 15/20 persone.

Quali sono gli obiettivi futuri che avete per la cooperativa?

Uno l'abbiamo già raggiunto : è un progetto che va avanti anche senza di noi. Abbiamo fatto crescere volontari che ora lavorano stabilmente nella cooperativa. Hanno studiato, si sono formati e hanno deciso di restare per lavorare nella struttura. Un altro obiettivo è quello di continuare nel futuro con persone che siano sensibili a questa tematica, che possano aiutarci a far camminare autonomamente la struttura offrendo ai giovani una prospettiva lavorativa, per tornare o restare nella loro terra. E sicuramente per i bambini che ospitiamo cercare di dare loro una speranza, una vita migliore rispetto ai difficili contesti in cui vivono e dove sono costretti a scontrarsi con situazioni molto complicate.

In che modo la cittadinanza può aiutarvi?

Sicuramente con la presenza: venire, trascorrere del tempo con loro. Oppure con delle donazioni come alimenti di prima necessità, abbigliamento o prodotti per l'igiene personale che possono essere portati in qualsiasi momento nella nostra sede.

Nuccia, come ti ha fatto sentire questa esperienza? Che cosa rappresenta per te questo luogo?

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Io personalmente ho toccato il fondo, perché veramente tocchi con mano situazioni molto particolari. A volte ti senti piccola e inerme, non sempre ti senti all'altezza, perché ci sono circostanze un po' particolari. Per fortuna dal primo istante si è formata una bella squadra di lavoro che ci ha permesso di affrontare al meglio i tanti, delicati casi. Per me è casa, le donne, i ragazzi e i bambini per me sono vita, qui trascorriamo le festività. Il giorno di Natale, per esempio, portiamo le nostre famiglie qui per festeggiare tutti insieme.È un luogo in cui si cresce, s'impara e si migliora giorno dopo giorno, un luogo in cui si creano legami indissolubili che restano negli anni.Per alcuni ragazzi per esempio, abbiamo fatto da madrina o padrino...è una sensazione che non si può descrivere tanto facilmente.”


Salutiamo e ringraziamo Riccardo e Nuccia per averci aperto le porte di questo luogo meraviglioso, dei loro ricordi e dei loro cuori ricolmi d’amore e di fede. Passeggiando verso casa ci confrontiamo su quanto udito, visto, sentito e questa storia di profonda esistenza e resistenza è per noi la conferma della grandezza di Dio e della sua Chiesa.

Nel Vangelo di Matteo c’è scritto: “In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: ‘Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?’. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: ‘In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me’."

Nel Vangelo di Luca invece troviamo :

"Gesù insegnava in una sinagoga di sabato. C’era là una donna che da diciotto anni era posseduta da uno spirito che la rendeva inferma; era curva e non poteva in alcun modo raddrizzarsi. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: ‘Donna, sei liberata dalla tua infermità’. Le impose le mani e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. [...] Disse: ‘Questa figlia di Abramo, che Satana aveva tenuto prigioniera per diciotto anni, non doveva forse essere liberata nel giorno di sabato?’."

In un mondo in cui gli interessi del singolo prevaricano quelli della comunità e dove gli ultimi vengono emarginati, dimenticati e schiacciati dal capitalismo imperante bramoso di forza e vigore per continuare ad alimentare se stesso, la cura che l’intera cooperativa pone nei confronti di donne e bambini è un virtuoso insegnamento per l’intera collettività. È un messaggio di speranza, un modello di società basata sull’aiuto e sulla partecipazione, un fuoco che riscalda i gelidi animi, una luce che illumina le oscurità delle nostre vite.

Se non ci credete, salite in macchina, dirigetevi nel centro storico di Rossano e bussate al loro portone!

Troverete tutto questo negli occhi di coloro che vivono e lavorano nella cooperativa L’Aquilone.

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