Gaetano Gianzi
- voci coro
- 28 gen
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 29 gen
Il cacciatore di ombre

A distanza di anni ricordo ancora in modo nitido l’emozione provata davanti all’imponente vetrata di uno degli ultimi piani della Fondazione Prada quando mi si spalancò davanti agli occhi l’affascinate skyline milanese, un panorama urbano di edifici futuristici armoniosamente inseriti nel tessuto della vecchia città, fatto di pavé, case di ringhiera, scali ferroviari abbandonati e navigli sommersi.
La vista dall’alto della metropoli mi ha sempre affascinato eppure per anni ho patito l’impossibilità di volgere lo sguardo all’orizzonte, impedito dall’ennesimo scherzo di cemento capace con la sua imponenza di bloccare i miei pensieri.
“Vorrei avere davanti a me il mare, semplicemente guardarlo e sognare”
L’avrò pensato mille volte, gridato ad alta voce o strozzato tra le lacrime scese copiose per una pace interiore che tardava ad arrivare.
Ma finalmente vivo in una città laddove il maestoso blu è sempre pronto a salutarmi, mi rapisce e ispira i miei pensieri.
In questo sabato di inizio gennaio, comodamente seduto sulla poltrona del suo affascinante salone, con il camino accesso a riscaldare la nostra conversazione, accompagnato dalla mia amata Gabri intenta a immortalare ogni istante, circondati dai verdi amici ulivi, sostenuti dal ricordo degli amici pescatori di Schiavonea impressi in tanti scatti, inebriati dal profumo dell’olio che trasuda dai muri e sorretti dal vecchio frantoio che regge la nostra chiacchierata come negli anni ha retto con forza e duro lavoro la famiglia Gianzi, gli occhi azzurri di Gaetano hanno su di me il medesimo effetto che ha il mare.
Condotto dalle sue parole mi tuffo nelle sue pupille e nuoto nei suoi ricordi.
L’acqua è fresca come nei primi bagni di giugno quando il corpo non è ancora caldo del rovente sole estivo e un brivido di frizzante vitalità mi coglie non appena le parole di Gaetano cominciano a raccontare i suoi inizi da fotografo, il ricordo della prima macchina fotografica ricevuta in regalo dallo zio che scorge in lui un futuro amore e la foto scattata con quella medesima camera al presidente Kennedy nel lontano 1963, pochi mesi prima dei terribili fatti di Dallas.
La testa riemerge e lo sguardo va al cielo azzurro sopra di me.

Gli occhi sono spalancati per il sussulto che il corpo ha avuto nell’immergersi repentinamente nell’acqua cristallina della sua voce e aver scorto, nuotando per pochi attimi sotto la superficie, l’incredibile vita condotta da questo uomo il cui fascino ricorda antichi galantuomini; non voglio fermarmi, come spesso mi capita, a guardare all’insù o a fissare le colline che circondano la città, oggi ho voglia di nuotare.
Le bracciate sono lente, desidero godere di ogni movimento. Rimetto la testa sott’acqua come m’insegnarono da bambino. Non appena gli occhi si riaprono, sul fondale, scorgo nuovamente Gaetano.
Lo vedo bambino scattare le sue prime fotografie : sono per lo più persone, ritratti.
È spinto dalla curiosità per le loro storie, quella stessa passione che continua a muoverlo ora, a distanza di anni.
Avanzo nella nuotata ed ora mi appare come studente tra Roma, Parma, Siena, Modena, Milano e Verona, dove si specializzerà in radiologia.L’immagine cambia e lo ritrovo medico a Trento, una città che amerà visceralmente risiedendovi a lungo.
Tra i boschi delle alpi retiche che sovrastano la città Gaetano si perderà tante volte, sempre accompagnato dalla sua fedele compagna di viaggio, quasi a voler cogliere tra tanto verde quella piana Caruso lasciata anni prima, ma che non smette di bussare alle porte del suo cuore.

Per diversi anni non aprirà, lo farà solo nel 1983 ritornando a vivere tra gli ulivi di famiglia.
Continuo a nuotare e le scene che si riflettono sono di lui adulto; si trova in Sicilia dove sta partecipando a diversi laboratori. È circondato da grandi fotografi, si confronta con loro, apprende, cresce, stringe amicizie che diventeranno la pietra ad angolo su cui fonderà il futuro dell’associazione e del festival.
Non sono stanco, braccia e gambe perdurano nel loro moto.
Gaetano è sempre li.
Lo scorgo accanto a Lucien Clergue nel fotografare nudi, subito dopo insieme a Mauro Galligani intento a inquadrare scene di moda e infine a confrontarsi con Jeff Dunas nell’uso del rosso in camera.
Ho ancora un po’ di fiato nei polmoni e l’interesse è così grande che non sento la fatica. Spingo con i piedi e allungo le mani nell’acqua, quasi volessi afferrarla.
Le immagini che seguono sono una carrellata di istantanee che giungono dalle ventuno edizioni del Festival della fotografia che ogni anno Gaetano organizza nella splendida cornice del Castello Ducale di Corigliano con il sostengo dell’associazione da lui stesso creata. Il toccante susseguirsi dei frammenti mi ricorda la straordinaria scena finale di “Nuovo Cinema Paradiso”, ma al posto di baci appassionati ci sono le esposizioni, gli

incontri con i fotografi, il pubblico, gli artisti che immortalano il centro storico, le strette di mano, la condivisione, i colori e il bianco e il nero, le giurie, i premi e i premiati, la cultura che si fonde con la storia locale, la ricchezza culturale che pone la città per giorni al centro del panorama artistico italiano, le voci narranti di coloro che donano alla collettività il loro sguardo sul mondo, le impronte artistiche lasciate da tanti nel loro passaggio, come quelle di Franco Fontana, Grazia Neri, Monika Bulay, Mimmo Jodice, Robbie McIntosh, Guido Guidi, Letizia Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Francesco Cito Gabriele Basilico, solo per citarne alcune.
Sono sopraffatto dall’emozione; ho bisogno di ristoro.
Interrompo la nuotata, giro il capo verso l’alto, spalanco le braccia e le gambe nella classica posizione del “morto” e mi lascio cullare dall’acqua rivolgendo lo sguardo verso il cielo.
Respiro lentamente e continuo a godere delle parole di Gaetano, del suo amore per ciò che i più vedono come degrado e che lui percepisce come possibilità di rinascita, di come la fotografia sia per lui il dono di cristallizzare per sempre un momento importante, i suoi atti di amore verso le meraviglie di Corigliano e Schiavonea che hanno solo bisogno di essere salvaguardate, recuperate o semplicemente osservate, le sue passeggiate nel centro storico a rivivere i luoghi che furono e infine i consigli ai giovani di fotografare ciò che amano o, ricordando Fontana, ciò che reputano brutto e che mai avrebbero fotografato.

La voce di Gaetano si placa, il suo racconto è terminato ed io sono ancora in mare, placidamente disteso, cullato dalla lieve brezza che soffia dalla sue labbra.
Riapro gli occhi ed eccomi nuovamente nel salone davanti a lui.
Nel ringraziarlo per l’immersione “foto-subacquea”, lo saluto, lo guardo per l’ultima volta negli occhi e tra me penso :
“chissà quale foto mi avrebbe scattato nell’ombra di quella poltrona...”



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