Il Circolo La Torre
- voci coro
- 21 ott
- Tempo di lettura: 5 min
Corigliano da bere
Milano, sono le 18.00 e lentamente l’ufficio si svuota.

C’è chi scappa velocemente verso la stazione per non perdere il treno che lo riporterà a casa, chi saluta con gioia quelli che ormai sono diventati amici.
C’è la giovane ragazza che corre via : sta per iniziare l’ennesimo corso dal nome accattivante nella palestra dove da poco si è iscritta; qualcuno cerca di rallentarla, ma lei freme perché è assolutamente convinta che questa volta, questo corso, sia quello giusto. Gli altri ottantanove iniziati e mai continuati, erano solo la via da percorrere per giungere a lui. C’è lo stakanovista di turno che continua a lavorare alacremente come se il futuro della società dipendesse da quelle mail non lette. Chi scende nel parcheggio sotterraneo rassegnato all’idea di dover trascorrere la prossima ora chiuso in auto e imbottigliato nel traffico, chi si profuma per il suo nuovo appuntamento al buio e chi recupera il monopattino lasciato nel corridoio, indossa il caschetto ed è pronto a lanciarsi negli ingorghi cittadini con funambolico coraggio.
E poi c’è quel solito gruppo di colleghi che sul terrazzo, tra una sigaretta e un pettegolezzo, intavola la più classica delle discussioni nella city.

Tutto ha inizio con la consueta domanda:
“Raga, ma l’ape stasera dove lo facciamo?”
“Allora, stasera ho davvero voglia di un posto figo!” dice quello stanco di conversazioni infinite che conducono sempre al medesimo locale a due passi dal lavoro.
“Beh allora ci serve un bel rooftop” gli fa eco la ragazza accanto a lui, iniziando a snocciolare con conoscenza enciclopedica ogni locale in città dotato di terrazza.
“C’è la Terrazza Aperol in Piazza Duomo se abbiamo voglia di uno sprizzettino oppure per rimanere in centro potremmo andare alla terrazza del Sina the Gray, fanno un cocktail strepitoso chiamato Milano Torino 1958. Se poi vogliamo unire all’aperitivo anche una mostra si potrebbe andare in Triennale. A dire il vero ci sarebbe anche Casa Baglioni, non ci sono mai stata, ma dicono che sia il top…Sadler experience…adoro.”
Io non sono mai stato un grande appassionato di aperitivi con i colleghi.
Ho sempre preferito salutare tutti, indossare le mie inseparabili cuffie, raggiungere la bicicletta legata con cura al palo — scelto con attenzione maniacale al mattino per evitare il classico furto — slegarla, salirci, e dare le prime, lente pedalate.

L’aria fresca in viso è un piccolo risveglio, una carezza dopo l’annebbiamento da computer e l’assuefazione alle voci incalzanti di chi, nella Milano che produce, è finito dentro il frullatore del capitalismo imperante.
Acceso da tempo, sembra che ormai nessuno conosca chi ne preme i bottoni e ne decide le diverse velocità.
Nonostante questo mio lato solitario, la Milano da bere la conosco e qualche ascensore per bere un drink - come direbbero i fighi, ma quelli veri - mi è capitato di prenderlo. Ricordo ancora con gioia quella serata di tanti anni fa con Salvatore e Valerio a sorseggiare i nostri cocktail prima dell’ennesima finale ahimè persa dalla nostra squadra del cuore.
Quella volta eravamo convinti che la splendida cornice della terrazza in Ceresio 7 sarebbe stata di buon auspicio, sognavamo di tuffarci nella sua piscina una volta vista la coppa sollevata al cielo.
O ancora la vista dello skyline milanese offerta dalla terrazza di Fondazione Prada. In lontananza le montagne e in prima fila i recenti e affascinanti grattacieli che si stagliano nella giungla urbana. La loro alchimia con il passato di tetti e ringhiere mi ha sempre emozionato.
Eppure…

Eppure tutto questo non potrà mai eguagliare la sensazione di stupore e di estasi che continuo a provare ogni qual volta varco la soglia del circolo la Torre, ai piedi del castello ducale di Corigliano. Neo, in Matrix, ha avuto bisogno della pillola rossa per spalancare gli occhi e capire quale fosse il mondo reale; a me basta impugnare la maniglia, ruotarla con decisione ed entrare.
Il mondo autentico, non patinato, operoso e genuino, vivace e sereno è dentro ad aspettarmi.
Un signore corpulento seduto su una sedia si gusta l’ennesima sigaretta; una battuta ironica con un altro ospite prima di un nuovo, lungo tiro che sa d’infinito e che blocca il tempo e lo spazio in quell’attimo senza fine.
Due uomini, nel frattempo, giocano a carte. Il mazzo ordinatamente posizionato al centro, il posacenere accanto, gli occhi che con attenzione scelgono la nuova giocata e lo sguardo beffardo dell’uno, conscio di avere tra le mani i punti che lo porteranno nuovamente alla vittoria.

Franco ha appena chiesto una birra e la sorseggia gironzolando lentamente per il locale.
Ha terminato da poco la raccolta e anche oggi ha portato i prodotti della terra per un aperitivo, questo sì, che racchiude in se natura e sacrificio, gusto e conoscenza, profumo e lavoro.
In disparte un ragazzo taciturno fuma.
Non parla, eppure il suo viso esprime la gratitudine verso quel luogo che accoglie senza discriminazioni, lasciandosi andare di tanto in tanto a un lieve sorriso di compiacimento perché in un paese segnato dall’abbandono il circolo è simbolo di appartenenza e di restanza.
Da dietro il bancone Francesco scruta ogni cosa.
Con i suoi occhi malinconici, nascosti dai grandi occhiali, osserva attentamente pronto a servire gli ospiti con gentilezza, senza lesinare una dose di leggiadra ironia quasi a mascherare la timidezza di un uomo dall’animo nobile.
Da un anno è il gestore del locale, da quando la moglie è prematuramente scomparsa, lasciando in lui un vuoto incolmabile che giorno dopo giorno riempie con bicchieri di vita, boccali di compagnia e calici di umiltà.
Lascio la stanza brulicante e mi dirigo verso il terrazzino.
Mi fermo, inebetito dal panorama che si apre davanti a me.
C’è l’intera piano di Corigliano ai miei piedi.

Tetti che si sfiorano e casa accatastate che per quanto abbandonate mantengono una dignità orgogliosa.
Il mare, trionfante, da laggiù mi saluta; la cupola di Sant’Antonio riflette la luce dell’ultimo sole e mi ricorda perché non riesca a fare a meno di tutto questo. In lontananza le torri dell’Enel, giganti di acciaio che in tanti definirebbero brutti, eppure per me sono bussola e ricordi. Le vedo e so di essere a casa.
E poi la palma che si innalza alla mia sinistra.
Qualche pazzo le ha dato fuoco anni fa, ma lei è ancora lì, caparbia, rinata dalle ceneri.
Mi sembra questo centro storico: ferito, annerito, ma ancora desto, in attesa di qualcuno che creda nel suo riscatto e l'aiuti a rifiorire.
E allora, ammaliato da tutto ciò, mi siedo sullo sgabello, adagio la birra - rigorosamente in bottiglia - sulla botte, mi faccio una sigaretta e me ne rimango li a godere quello scorcio di paradiso.
Il cuore lentamente si riscalda e la pelle trasuda amore. La mente torna alla lontana Milano e al vento vorrei gridare : “ Uèèèè testina! Eccolo il rooftop più cool dove fare l’ape…pirla!



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