Le sorelle Pacenza
- voci coro
- 29 apr
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 12 mag
L'eredità di un seme
Quando Daniela è venuta da me e Antonio per raccontarci del progetto che stava nascendo, non abbiamo avuto dubbi.
Cercava qualcuno che potesse aiutarla nell’intrattenimento della serata benefica organizzata dalla loro associazione, "Il seme che germoglia", per raccogliere fondi a favore del reparto di oncologia dell'ospedale cittadino.
Ci siamo guardati appena un istante, io e Antonio, e senza esitazione abbiamo risposto: «Ci pensiamo noi».

Abbiamo immaginato giochi, momenti di condivisione leggeri e profondi allo stesso tempo, piccoli gesti di allegria per mantenere viva quella scintilla che avevamo visto brillare nei suoi occhi.
Dietro quell’iniziativa, però, c’era molto di più.

C’era la storia di quattro sorelle — Carmen, Stefania, Maria Rosaria e Daniela Pacenza — che, attraverso "Il seme che germoglia", hanno deciso di raccogliere l’eredità più preziosa: dare forma e continuità all’amore ricevuto dalla loro madre, andata via troppo presto, strappata da un male feroce.
Ma quel dolore non sarebbe rimasto sterile: avrebbe dato vita a un germoglio, a un’associazione che attraverso laboratori creativi e manuali porta bellezza, cura, sollievo tra le corsie dei reparti di oncologia.
Piccoli atti di resistenza alla sofferenza; minuscoli e immensi insieme, nati dal dolore, ma rivolti ostinatamente alla vita.
Anche il mio cammino ha incrociato il reparto oncologico: quasi un anno trascorso accanto a mio padre, fino all’ultimo dei suoi giorni.
Condivido il vuoto della perdita e la meraviglia di riempire questo vuoto con qualcos’altro.

Il lutto non si supera, si attraversa.
La rinascita non è il ritorno allo stato precedente, è l’invenzione di una vita nuova, capace di custodire la ferita senza lasciarsi annientare.
È come la luce delle stelle morte: quelle stelle non esistono più da milioni di anni, eppure la loro luce continua a viaggiare, ad arrivare fino a noi.
La luce di Achiropita, la loro madre, è arrivata splendente nella serata del 16 aprile.

È comparsa subito, quando Carmela ha mostrato l’ultimo quadro che aveva dipinto: un seme che germoglia per l'appunto.
Il simbolo, il nome, il senso di tutto.
Poi l’abbiamo vista ancora: quando Piero, il marito di Achiropita, ha vinto un grande quilt nella lotteria della serata — e subito, con un gesto semplice, lo ha donato di nuovo.
La luce ci ha raggiunti ancora nella voce emozionata di Alessandra, la nipote, che ha letto le lettere delle pazienti, parole cariche di gratitudine e di speranza.
E infine, ci ha dato la buonanotte: quando la sala si è svuotata, e sul pavimento è rimasto un unico piccolo segno.
Un post-it.
Una sola parola scritta sopra: Achiropita.

Tra risate, lacrime, abbracci, familiarità, la serata ci ha ricordato qualcosa di semplice e fondamentale: che il dolore non deve diventare pietra.
Che la vita è fatta di crepe, di assenze, di mancanze.
E che proprio da lì — solo da lì — può filtrare una luce diversa, più profonda.
Del resto ogni amore vero, come la luce delle stelle morte, non smette mai di raggiungerci.



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