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Piero

  • Immagine del redattore: voci coro
    voci coro
  • 25 feb
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 1 apr

"U direttor" della vecchia Bisanzio



Negli anni ho partecipato a diversi addii al celibato, ritrovandomi tra le strade di Malaga con l’ennesimo cocktail tra le mani o fra quelle di Barcellona con il passo sghembo per aver superato quel punto in cui, da ubriaco, prometti a te stesso :


“ Questa è l’ultima volta che bevo, lo giuro!”


Ricordo quando sull’aereo decisi di prendere l’interfono e improvvisare una scenetta divertente per lo sposo, conclusasi con il bacio di rito della bella ragazza seduta in prima fila e ignara di tutto quello che da li a poco avrei fatto.


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Sono tante le istantanee nella mente che mi riconducono a questo evento goliardico, eppure quello che porto nel cuore e che mi piace sempre raccontare è legato a questa città.


É la sera del 20 gennaio 1995 e il giorno successivo si celebra il matrimonio dei miei cugini Adele e Luigi, ai quali sono profondamente legato.

Insieme a mio fratello, di cinque anni più grande, vengo invitato all’addio al celibato di cui non so nulla, ma poco importa : sono in vacanza, l’indomani è un giorno meraviglioso, sono in compagnia dello sposo che negli anni è diventato un punto fermo della mia adolescenza, la serata è pungente, ma serena e il centro storico emana quell’inconfondibile profumo di camini che ardono.


Gli ingredienti perché sia una serata memorabile ci sono tutti.


Dalla Conceria ci dirigiamo verso San Marco.

Proprio accanto all’entrata dell’affascinante chiesa bizantina abbarbicata sulla roccia varchiamo una porta e ci ritroviamo in una grande stanza ricolma di botti, con una lunga tavola imbandita per la cena.


Mi viene detto che il proprietario è un certo Piero.


Prendo posto e inizio a stuzzicare del formaggio locale , il primo “sciannachedd” è finito.


Non faccio in tempo a girarmi che il bicchiere è di nuovo ricolmo, ma una fetta di pane con la sardella, un po’ di capocollo e una rondella di salame dopo e il bicchiere è inesorabilmente vuoto.


Inizio a perdere il conto di quelli che bevo, il vino viene spillato direttamente dalle botti e riposto davanti a me.


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“Il segreto è accompagnarlo sempre con un bel pezzo di formaggio” mi dice Piero, che da padrone di casa sconosciuto è ormai diventato un amico di brindisi e compagno di allegre risate.


Gli credo ciecamente e continuo a bere, ma ho 15 anni e fino a quel momento il vino mi era ancora abbastanza sconosciuto, le poche interazioni che avevo avuto con lui erano sotto l’egida ferrea dei miei genitori, tutt’al più sotto il controllo decisamente più lasco di nonno che tra una pesca imbevuta e un’altra mi introduceva al piacere del rosso nettare; mi alzo dal tavolo e sono completamente ubriaco.


Da quel momento i ricordi si fanno sbiaditi e tremanti.


Con una stella filante brucio inavvertitamente mio fratello, salgo in auto ignorando il tragitto verso casa, scendo barcollante e, senza badare alla tarda ora, con un grido festoso saluto mia madre che dal balcone assiste alla scena della prima, memorabile sbronza del suo giovane figlio.


Sono passati 30 anni da quel giorno eppure ogni volta che entro alla Bizantina volgo lo sguardo sulla destra per scorgere quella stanza e rivivere i frammenti di quella nottata indimenticabile; rivedo Piero gioioso  e mi piace immaginare che quegli attimi lo abbiano ancor più incoraggiato nell’intraprendere l’avventura nella ristorazione che da li a poco avrebbe iniziato.


In tutto questo tempo chissà quante persone si sono accomodate alle tavole di un ristorante che è ormai un simbolo eno-gastronomico e antropologico del centro storico di Rossano, un luogo dove il ricco antipasto ti accompagna in un viaggio sensoriale alla scoperta dei sapori della madre terra calabra, dove l’ospitalità di Piero ti fa sentire a casa dal primo istante ritemprando il tuo corpo come accadeva con gli ardenti bracieri un tempo accesi nelle fredde stanze, dove la musica di fine serata ti catapulta in una sagra di paese invitandoti a cantare e danzare di ritmi che profumano di fisarmoniche e tamburelli, un luogo che smuove la pigrizia di tanti che da laggiù vedono il “paese” come un miraggio lontano che solo con gesta titaniche si potrà raggiungere.


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Chissà quanti d’inverno sono stati accolti tra le sue calde e avvolgenti mura, dove il tempo sembra rallentare e il convivio assume il sapore autentico delle antiche riunioni familiari.


Chissà quanti altri ancora saranno stati sorretti nelle sere d’estate, dall’imponenza dell’oratorio di San Marco, immersi in un’atmosfera sospesa tra presente e passato.


In questi anni la lotta di resistenza che Piero ha condotto e continua a condurre coraggioso come un glorioso magister militum bizantino è d’ispirazione per tutti gli abitanti del centro storico che vedono in lui un faro che illumina le loro più intime e buie paure di abbandono e desolazione, portandoli a confidare che “finché c’è Piero, c’è speranza”.


In suo onore, dunque, prendo tra le mani il calice, colmo di rosso vino lo alzo al cielo e come ho imparato in quella cena di tanti anni fa, declamo un brindisi in rima al padrone di casa :


“La bizantina

veniva chiamata la Rossano divina

tra le strade di San Marco questo ristorante 

ne racchiude in pieno la sua aura affascinante.

Prelibatezze dal sapore popolare

invitano gli ospiti i pensieri negativi a lasciare andare.

i bicchieri ricolmi del rosso candore

lentamente inebriano i commensali di puro amore.

Accorrono le genti da ogni dove

perché la magia di questo luogo anche il più pigro smuove

tra canti e risate l’aria è gioiosa,

brindiamo alla vita, sincera e armoniosa.

Ma tutto questo non avrebbe valore

senza la passione di Piero, il direttore!

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